White snow, dark liquor, oh what a fun night!

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    Natale era passato da un pezzo, le feste erano state portate via dall’aria gelida di gennaio, lasciando dietro di sé solamente la monotonia di gennaio e il lento tornare al lavoro. Stavano sparendo lentamente gli addobbi, le fate che avevano addobbato gli alberi di natali avevano cominciato a volare via e a lasciare come traccia della loro esistenza solo la polvere luminosa delle loro ali, un’ombra sottile, un ricordo effimero di quel periodo che stava lentamente finendo. Non c’erano più coppie che si stringevano per le strade, alla ricerca di rami di vischio e agrifoglio, da usare come scusa per abbracciarsi e baciarsi. Anche le vetrine dei negozi stavano tornando al loro normale stato di esistenza. Niente più slitte stregate, niente fiocchi, niente bastoncini di zucchero e petardi magici che continuavano a scoppiare senza mai smettere di bruciare.
    Ma le feste non erano davvero finite, almeno, non nello spirito: la neve non aveva cessato di cadere e di imbiancare le strade. Sottili stalattiti di ghiaccio decoravano i tetti delle case e dei lampioni, riflettendo la luce delle decorazioni, unendosi a quelle in un tripudio di piccoli bagliori che davano alle strade di Diagon Alley un’atmosfera quasi fatata nella luce della sera.
    Un po’ meno fatato era il barcollare del mago per le strade, mentre, stretto nel suo mantello e nel pesante cappotto, affondava gli stivali nella neve, lasciandosi dietro una scia di impronte accompagnate da quelle più piccole di un piccolo animale che continuava a salterellare nella neve, come un gatto curioso. Doughnut alternava a momenti in cui si stringeva dentro il mantello di Kyle per riscaldarsi le squame e altri in cui un’ombra nella neve attirava la sua attenzione e si metteva ad afferrare, artigli spalancati, ombre nella neve, sollevando spruzzi gelidi di ghiaccio. Il tutto accompagnato da acuti ringhi agitati. La sua vera padrona era tornata a casa, quella di sua madre. Il mago era tornato a vivere da solo, almeno fino a quando quel concentrato di gioia e curiosità non fosse tornato a rischiarare la vita, il prossimo fine settimana.
    Il che lo poteva giustificare un po’ sul fatto che in quel momento fosse piacevolmente ubriaco. Si era lasciato trascinare da alcuni colleghi in uno dei tanti locali della Londra Magica, e i boccali di birra avevano rapidamente lasciato il posto a qualcosa di ben più forte. Il proprietario di quello che tutti ormai chiamavano semplicemente “il Lamia” non ci andava proprio leggero a colmare i bicchieri, e senza nemmeno rendersene conto, aveva superato la mezzanotte di quel giovedì sera a sfondarsi il fegato.
    Era sicuro che il suo corpo lo avrebbe ringraziato. O almeno, ne sarebbe stato sicuro, se non fosse stato abbastanza ubriaco da ignorare completamente il continuo senso di nausea e il fatto che la strada continuasse ad oscillare. Sapeva solo che doveva raggiungere il Paiolo Magico, sperare fosse ancora aperto e trovare il modo di tornare a casa.
    «D. per favore non…»
    Aveva cominciato a biascicare all’ennesimo tentativo del drago di ritornare al caldo dentro al suo mantello. Doughnut aveva cominciato a tirare la stoffa dei pantaloni, a cercare un appiglio per potersi dare alla scalata. Maynard provò a scrollarselo delicatamente di dosso.
    Pessima idea, quando la strada è piena di ghiaccio, combattere contro un draghetto infreddolito.
    «Merda…»
    Si lasciò sfuggire un’imprecazione nel cercare di riprendere l’equilibrio quando uno degli stivali scivolò indietro, proiettandolo in avanti verso il muro alla sua destra. Aveva provato ad attutire l’impatto, ma era stato lento. Un po’ troppo. E aveva sollevato le mani quando il volto aveva già sbattuto contro i mattoni.
    «Merda! »
    Si era portato le mani al naso, qualcosa di caldo e viscido aveva cominciato ad inzuppare la lana dei guanti, e l’ennesima imprecazione uscì soffocata e nasale. Seguita da un ridacchiare a malapena trattenuto. Il naso continuava a bruciare, il dolore si mescolava al freddo pungente dell’aria della sera, probabilmente si doveva essere tagliato uno zigomo sui bordi dei mattoni. Eppure la situazione gli sembrava talmente ridicola da non riuscire a smettere di ridere. Probabilmente le diverse bottiglie di Ogden stravecchio che avevano scolato nemmeno un’ora fa stavano contribuendo a rendere tutta la serata una comica.
     
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    Quella giornata si era rivelata essere più lunga del previsto. La ripresa del lavoro dopo le vacanze natalizie aveva portato con sé un sacco di compiti nuovi e vecchie assegnazioni da completare, per non parlare, finalmente, di tante piccole missioni sul campo per il salvataggio e il recupero delle creature più strane.
    Nell’ultimo anno, forse perché Alice lavorava in quel dipartimento e se ne rendeva meglio conto, sembrava che si fosse intensificata l’usanza di regalare cuccioli per Natale, non solo di animali tipici come gatti e gufi, ma anche di bestiole un po’ più particolari e a volte anche pericolose.
    Cosa balenasse nella testa di chi si prestava all’acquisto di certi animali ancora era un mistero per la Watson.
    Pochi giorni prima il Dipartimento Creature aveva ricevuto una soffiata anonima su uno smercio di contrabbando di cuccioli di Mooncalf.
    Data la perculiaritá dell’animale e la sua natura estremamente schiva, la Watson si era molto sorpresa che i malviventi fossero riusciti a sottrarre addirittura quattro esemplari. Dopo un lavoro lungo una decina di giorni, la squadra del Dipartimento era riuscita a rintracciare tutti e quattro i cuccioli e a riportarli nel loro habitat, ma purtroppo non erano riusciti a scovare i mercenari che li avevano rapiti. Una sconfitta a livello Ministeriale, ma una piccola vittoria per Alice che aveva contribuito al recupero delle bestiole.
    Per ogni missione però c’è anche un’ingente quantità di documenti da protocollare, quindi la specializzanda aveva passato la giornata a fare rapporti sulle varie fasi della missione, firmare scartoffie, contattare le famiglie da cui erano stati recuperati i Mooncalf, raccogliere testimonianze facendo interviste porta a porta. Proprio in quel momento era di ritorno da un colloquio fallimentare con una vecchietta che sosteneva di aver visto in faccia i malviventi, ma si era rivelata poi una falsa pista data dall’immaginazione un po’ troppo fervida della signora che voleva accusare il suo postino perché si era dimenticato di consegnarle il giornale la settimana precedente.

    Un po’ sconsolata e abbastanza infreddolita, vista la neve che continuava a scendere inesorabile con il suo candore ovattato, Alice camminava per Diagon Alley pensando tra sé se fosse il caso di tornare a casa, o mangiare qualcosa in uno dei pub che offriva la cittadina magica.
    Avrebbe potuto anche fare un’improvvisata a Charles portando del cibo da asporto, ma non era sicura che fosse a casa, perché le pareva di ricordare che quel giorno gli fosse toccato il turno di notte.
    Mentre camminava con le mani nelle tasche, imbacuccata nella sciarpa come se si trovasse al polo, l’attenzione di Alice venne catturata da una creatura grande come un gatto che girava senza sosta emettendo strani fischi allarmati.
    Leggermente preoccupata si avvicinò all’animale e constatò che si trattava di uno pseudodrago.

    E tu che stai facendo in giro? chiese ad alta voce, più a se stessa che rivolgendosi davvero alla creatura.

    Quando il draghetto la vide le si avvicinò zompettando e le si avvinghiò ad una gamba. Quando si chinò per guardare meglio la bestiola, Alice ebbe la sensazione di averlo già visto altrove. Non dovette fare un grosso esercizio di memoria, poiché lo aveva incontrato da poco, esattamente all’inizio di Gennaio durante una missione ministeriale. Quello era il famiglio di uno dei suoi colleghi più grandi, Maynard se ricordava bene.
    Lo pseudodrago era evidentemente agitato e saltellava da una parte all’altra come se volesse dirle qualcosa. Alla ragazza bastò seguirlo per qualche decina di metri per capire il perché del suo strano comportamento. Il suo padrone se ne stava seduto per terra con le mani al viso lanciando improperi ad alta voce. Evidentemente era scivolato sul ghiaccio e doveva aver sbattuto, ma con la penombra Alice non riuscì a capire l’entità dei danni.
    Si avvicinò con cautela per non scivolare a sua volta e finire addosso al suo collega.

    Maynard? Kyle Maynard? chiese una volta essergli arrivata abbastanza vicina da poterlo raggiungere con le mani.

    Quando l’uomo alzò gli occhi per guardarla Alice fu assalita prima da un forte odore di alcool, poi vide che l’uomo si era fatto male sul viso e sanguinava copiosamente. Cercando di nascondere una smorfia disgustata per via dell’odore di alcool, la specializzanda estrasse la bacchetta e la puntò verso il viso del suo improvviso paziente.

    Epismendo disse decisa.

    Va meglio? chiese poi appoggiandogli una mano su una spalla e cercando di capire se la frattura era stata risistemata o era necessario un altro intervento, ma il sangue che già era uscito, aveva imbrattato tutto e le impediva la visuale.

    Tirò fuori un fazzoletto di carta dalla borsa e glie lo allungò.
     
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    Nemmeno si era accorto che Doughnut si era allontanato da lui. Di solito la presenza dello pseudodrago al suo fianco (o attorcigliato al suo collo) era una costante, un qualcosa che dava per scontato in ogni momento. Lo seguiva a lavoro, stava con sua figlia quei pochi istanti che la strega di sua madre glielo permetteva, giocava con gli animali e le creature che arrivavano nel suo ufficio e con i suoi colleghi. Che sparisse era difficile.
    Stava cercando di riprendere l’equilibrio, si era abbandonato con le spalle al muro contro il quale aveva sbattuto, le gambe appena chinate e lo sguardo perso nel niente. Le labbra e la barba si stavano inzuppando di sangue e attorno agli angoli della bocca e ai baffi, scuri grumi stavano cominciando a rapprendersi. Sbuffi candidi si levavano ad ogni respiro mentre continuava a ridacchiare.
    «Alice?»
    Aveva domandato, inondando senza nemmeno volerlo la ragazza del forte odore di Ogden e degli alcolici che aveva finito di scolarsi nemmeno mezz’ora fa. Aveva sorriso alla ragazza, aveva incrociato gli occhi quando gli aveva puntato la bacchetta contro il viso (e l’espressione lasciava pensare che il gesto l’avrebbe portato a vomitare da un momento all’altro) e per un istante la preoccupazione si impadronì di lui
    «Aspettaspettaaspett-»
    Crac! Un caldo pungente al naso, di nuovo, questa volta provocato dalla magia della strega. Sentì le ossa scricchiolare mentre tornavano a posto e si portò di nuovo le mani guantate al volto, spiaccicando di nuovo il sangue sul naso e i baffi. Una serie di mugolii uscì da sotto la lana dei guanti, gli occhi stretti più per la sorpresa che per il dolore.
    Li riaprì e lasciò cadere le braccia ai fianchi, tornando a sorridere, davvero felice che ci fosse la collega. Difficile dire se fosse felice perché non era più solo o se la ragazza fosse davvero un pezzo fondamentale dell’equazione.
    «Alice, che sorpresa!»
    Aveva ignorato la domanda della ragazza, stessa cosa con il fazzoletto che gli aveva offerto, si era limitato a farsi in avanti, allargare le braccia e stringerla in un forte abbraccio che odorava d’alcol. Stringerla, o per meglio dire, stritolarla. Il mago sovrastava la ragazza di una ventina di centimetri abbondante, praticamente tutta la testa. Aveva anche il doppio dei suoi anni, e probabilmente pesava il doppio di lei. Stritolarla in un abbraccio da orso non sarebbe stato difficile. Il volto del mago nonostante il sangue rappreso sotto il naso e il sordo bruciare della cartilagine che la magia aveva appena rimesso in sesto, brillava di gioia. Nella sua mente, era passato da una festa all’altra, anche se in quel caso si trovavano in mezzo di strada al freddo e non in un pub a bere e al caldo. Continuò a stringere la ragazza, oscillando a destra e sinistra.
    «Che ci fai anche tu qui? Sei- sei»
    La voce si impastava di tanto in tanto, la mente faticava a trovare le parole.
    «Insomma, come mai non sei a casa? Che festeggi tu? Harris ti aveva invitato anche te al Lamia? Sei-»
    Risatine troncarono la frase a metà. Lasciò la strega da quell’abbraccio e tornò a parlare
    «Sei arrivata tardi. Ti sei persa Patel. Lo conosci. Quello del piano di sotto, no, scusa, quello è Patil, oh insomma, quel coglione dei Troll, siamo riusciti a fargli bere due boccali colmi di Pozione Pepata assieme al Whisky Incendiario. Mai visto qualcuno sputare tante fiamme in vita mia»
    Gli occhi erano lucidi, in parte per l’alcol, in parte per il continuo cercare, e fallire, di trattenere le lacrime. Si voltò dietro di sé, a trovare il suo famiglio, e con rammarico scoprì che non era lì. Il sorriso sparì dal volto all’istante.
    «Hei! Hai visto D? Non può essersi allontanato troppo vero?»
     
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    Il mago che Alice aveva di fronte era completamente ubriaco e se la ragazza ne aveva avuto il sospetto appena arrivata per via del forte odore di alcool che emanava, la sua reazione al suo attivo glie lo confermò senza ombra di dubbio.
    Nel mentre la ragazza gli stava aggiustando il naso, Maynard si era alzato facendo leva sul muro e ora la guardava dall’alto con un’espressione mista tra la gioia, il dolore e la sorpresa.
    Il collega del Dipartimento Creature era un uomo alto e robusto, addirittura più alto di Charles, per questo motivo, quando le si appoggiò addosso per abbracciarla in uno strano moto di contentezza, Alice si ritrovò a gemere sotto al suo peso. La ragazza tutto si aspettava meno che di venire accolta in quel modo o, ancora meglio, tutto si aspettava meno che di terminare la giornata occupandosi di un uomo adulto completamente ubriaco.
    Maynard prese a fare strani discorsi riguardo a inviti a festeggiare , whisky incendiari e pozioni pepate, ragionamenti a cui la specializzanda rispose con formule brevi come un confuso “Ah si?” o un cenno della testa che però si percepì appena visto che era schiacciata dal peso del mago.
    Quando poi il magizoologo menzionò il suo famiglio, allora lì Alice riuscì a divincolarsi il minimo indispensabile per non farsi trascinare a terra in una rovinosa caduta sul ghiaccio. Le preoccupazione del mago per lo pseudodrago le diede il tempo necessario a rimettersi dritta e a fare leva con le gambe per sorreggere il suo interlocutore e aiutarlo a stare dritto.

    É qui, é qui... disse cercando di rassicurarlo subito.

    Il draghetto se ne stava dietro di lei, con il rischio di venire schiacciato se i due fossero collassati a terra, emettendo schiocchi o giocherellando con la neve. Nel momento in cui la ragazza aveva raggiunto il suo padrone, sembrava che ogni preoccupazione dell’animale fosse scomparsa.

    Mr D é stato bravissimo, mi ha accompagnato fino a qui... continuò per rassicurarlo ulteriormente Davvero un bravo famiglio... aggiunse per risultare più convincente, poi si rivolse alla creatura Dai sali! disse allungando una mano verso di lui e il draghetto si arrampicò su di lei fino a raggiungere il collo del padrone, sul quale si acciambellò come una sciarpetta.

    Ce la fai a camminare? disse poi rivolgendosi con tono tranquillo al mago, nella speranza che non le rendesse impossibile quell’operazione.

    Intanto nella sua mente Alice si stava maledicendo il ogni lingua a lei conosciuta per non aver cercato aiuto in qualche omaccione corpulento nei pub lì intorno. Prima di muoversi si assicurò di tenere ben saldo Maynard, standogli appuntata sotto il braccio come una stampella e tenendo il braccio destro intorno al torace di lui, per sorreggerlo meglio. Con un sospiro cercò di muovere un primo passo verso la strada principale, ma il suo peso e quello dell’uomo che aveva sopra la fecero immediatamente scivolare sul ghiaccio e cadde rovinosamente, sbattendo fortissimo il ginocchio sinistro sul marciapiede .

    Nonostante l’impatto, Alice non fece un suono, se non un urlerò acuto di sorpresa mentre perdeva l’aderenza con il terreno. Forse per il freddo o forse per l’adrenalina del momento il dolore fu meno intenso del previsto e, controllando i jeans, si accorse che non si erano nemmeno strappati, erano solo un po’ rovinati e bagnati.
    Il marciapiede era completamente congelato, ma la strada sembrava non esserlo, quindi, una volta essersi faticosamente rimessa in piedi, cercò di portarsi dietro Maynard e camminare sulla strada innevata.
     
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    Aveva provato ad abbassarsi per facilitare il compito al draghetto di salirgli addosso. Non molto, giusto quel che bastava per mettersi in ginocchio, aprire le braccia e stringere al petto l’animale quando avesse piantato gli artigli contro gli strati di maglie e mantelli e lana che coprivano il mago il quel momento. Non una buona idea. Il mondo prese a girare, di nuovo e d’improvviso. Oscillò avanti e indietro un paio di volte, le braccia comunque aperte, a cercare di riprendere l’equilibrio perso. Lo sguardo e l’espressione di nausea sul volto, lasciavano intendere che o stava per vomitare, o che ancora doveva riprendere pieno possesso delle proprie, sebbene scarse in quel momento, capacità motorie. Aiutato però dalla strega, il drago raggiunse comunque la posizione al suo collo, dove si strinse sulla sciarpa e infilando il naso nel nodo della lana.
    «È bravissimo sì… è super bravo… non posso permettermi di perderlo, non posso lo sai? Spezzerei il cuore a Rose… e lei ci tiene tanto a Doughnut e lo ha anche chiamato così e lo ha visto crescere… non posso perderlo»
    Stava accarezzando distrattamente il manto squamoso dell’animale, la voce di colpo fatta più cupa e triste al pensiero che per un istante lo pseudodrago sembrava essersi perso, o quantomeno fosse sfuggito alla sua vista. Maynard spostò lo sguardo sulla collega. Gli occhi erano lucidi.
    «Non posso perderlo Alice…»
    Era stato un fallimento di padre, sicuramente uno schifo di marito e non era mai stato il miglior mago al mondo. Lo sapeva. Non poteva permettersi anche di deludere ancora una volta tutte le aspettative di Rose e di far fuggire il suo piccolo drago. Il primov ero legame che avesse mai avuto con suo padre.
    L’ondata di tristezza e di malinconia venne cancellata dalla domanda di Alice. Maynard provò a darsi un minimo di contegno, si raddrizzò, prese fiato e provò a muovere un passo in avanti prima che la strega si muovesse a sorreggerlo. Nemmeno aveva avuto modo di risponderle.
    «A- aspetta»
    Avevano cominciato a muoversi. E il mondo aveva cominciato di nuovo a girare come una piccola trottola. Il draghetto fece capolino da sotto la sciarpa così da guardare la strega con espressione perplessa. De due, era sicuramente quello che aveva più buon senso in quel momento.
    «Ce la faccio… tranquilla celafacciocela-»
    Lui ce la faceva. Più o meno. Davvero, era stato trovato dalla sua ex moglie in condizioni ben peggiori quando ancora vivevano assieme, ma questo non voleva dire che camminare appiccicato ad una strega in quelle condizioni fosse facile. Un paio di passi e l’altra cedette, e di conseguenza anche lui che per pochi passi si era appoggiato a lei nonostante le sue proteste.
    Si liberò dalla stretta di Alice, in un tripudio di «Ce la faccio, tranquilla» e altre scuse.
    Pochi passi in avanti, traballando appena. E poi, di nuovo, l’equilibrio venne meno. Aveva provato ad evitare uno dei cumuli di neve e ghiaccio al lato del marciapiede… era sicuro di aver sollevato il piede. La sua percezione della profondità stava cominciando a sparire del tutto. Quando era rimasto incagliato nella neve, aveva preso a salterellare su una gamba sola, così da riprendere l’equilibrio. In meno di un secondo, era di nuovo a terra. In ginocchio. Si lasciò cadere sulla schiena, sbuffando esasperato.
    «Oh god… no, non ce la facevo»
    Ridacchiò, con Doughnut che si liberava dalla prigione che era la sua sciarpa e il mantello che coprivano metà del suo corpo, per poi tornare con le zampe nella neve. Alzò lo sguardo al cielo, lasciando cadere pesantemente le braccia in mezzo alla neve che invadeva le strade.
    «Bella serata che ti faccio passare no? Cercare di starmi dietro… forse avevi di meglio da fare penso, vero? Ooohhh… »
    Provò a rialzarsi dalla neve, con scarsi risultati. Tornò a parlare dopo essersi ributtato a terra, nella neve. I capelli avevano cominciato a bagnarsi. Non gli diede importanza.
    «Già… bella serata… stare dietro al tuo collega ubriacone e al suo stupido draghetto. No lo so non sei stupido, sono io stupido. Sì, lo so… Merlino… Isabelle… dio quella gran puttana forse aveva davvero ragione no? No, forse non dovrei chiamarla in quel modo, è ingiusto e abbiamo comunque passato dei bei momenti assieme… no, togli tutto quello che ho detto, non c’è stato niente di bello in quello schifo che è stata la mia vita con lei»
    Aveva cominciato a parlare a vuoto, riportando alla luce episodi non proprio piacevoli della sua vita. Forse davvero Isabelle aveva però ragione. Era un fallimento, o almeno, una persona buttata a terra e ubriaca poteva benissimo essere definita in quel modo.
     
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    Niente da fare, nonostante i suoi tentativi, il mago si era allontanato da lei durante la caduta ed era finito ancora una volta nella neve, sembrava senza danni. Chi li avesse visti da fuori avrebbe davvero osservato una scenetta patetica e grottesca.

    Maynard cominciò a parlare a vanvera riguardo alla propria vita, al suo ruolo di padre e marito e al quello che non era riuscito a fare in quelle vesti. Mentre cercava un modo per tirarlo su da terra, Alice si ritrovò suo malgrado ad ascoltare gli sproloqui del mago e se ne ritrovò dispiaciuta. Del suo collega non sapeva praticamente nulla se non il suo nome l’appartenenza al suo stesso Dipartimento, quindi sentirlo parlare in quel modo le riempì il cuore di pena. Non le era mai successo di incontrare qualcuno in quelle condizioni e non sapeva bene come comportarsi, quindi andò un po’ a braccio.

    Sono sicura che Rose e Mr D la pensano diversamente... gli rispose di punto in bianco avvicinandosi con cautela.

    Mr D sembra entusiasta della propria vita è se mio padre mi avesse regalato uno pseudodrago da bambina penso che sarebbe stato il mio eroe. continuò Si fanno degli errori nella vita, é normale. gli disse oramai praticamente china sopra di lui, mentre co gli occhi cercava un modo per tirarlo su senza precipitare di nuovo a terra Saresti uno schifo di persona se nemmeno ci provassi a rimediare, ma con Rose ci stai provando ed é questo l’importante. concluse.

    Chissà se il mago aveva ascoltato anche solo una parola che aveva detto.

    Non ci siamo... sospirò mentre decideva il da farsi.

    L’uomo che aveva davanti stava in mezzo alla neve agitando le braccia e le gambe come se no un angelo di neve e lei non era del tutto certa di avere la forza necessaria a tirarlo su da sola. Intorno a loro non c’era anima viva, così si sentì costretta ad utilizzare la magia per aiutarsi. Con la bacchetta ancora in mano, fece un profondo respiro ed evocò il suo incantesimo.

    Wingardium Leviosa

    Il mago si sollevò da terra e con un piccolo sforzo Alice riuscì a rimetterlo sui suoi piedi.

    Fermò immobile, non muovere un muscolo finché non arrivo da te. Ok? disse prima di colmare quei due metri che li separavano.

    A grandi, ma cauti passi gli si avvicinò e gli poggiò una mano su un braccio.

    Lavoriamo in squadra, va bene?

    Nel frattempo lo pseudodrago se ne stava a trotterellare intorno a loro, piuttosto tranquillo, forse ignaro della difficoltà che stava provando la giovane strega.

    Mr D non ti allontanare. disse, poi gli puntò il dito contro con fare autoritario e disse decisa A cuccia. Seduto.
     
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    Ridacchiò quando citò il draghetto e il fatto che fosse felice della sua vita.
    «Oh… questo piccoletto si è proprio ritrovato con un’ottima padrona. Ingozzato come un maiale e coccolato fino a farlo svenire. Viziato»
    Continuava a fissare il cielo scuro, le nuvole che ancora si addensavano sopra di lui creando una coltre uniforme che né la luce della luna né quella delle stelle riusciva a superare. Un aspetto innaturale, un telo di velluto che soffocava ogni cosa. Se c’era una cosa alla quale non si sarebbe mai abituato era il tempo londinese. In quei momenti, lo odiava.
    «Ci sto provando…»
    Ripeté a bassa voce. Se non altro andarsene dalla vita di sua moglie aveva significato liberarsi di un gran numero di vizi e di comportamenti autodistruttivi che gli permettevano di stare un po’ di più con sua figlia. E che se avesse continuato, probabilmente lo avrebbero portato a crepare in un angolo del San Mungo dimenticato da tutti e nella completa indifferenza di Isabelle. Si portò un braccio al viso, coprendo gli occhi con l’avambraccio, fregandosene della neve che quel gesto gli avrebbe spiaccicato sulla faccia.
    «Spero tu abbia ragione Alice… No. Ci ho provato. Ora almeno. Se… no. Lascia-»
    Un borbottio continuo, una serie di ricordi che si mescolavano, inondanti da un fiume di alcol che continuava ad intossicargli la mente. Che confondeva presente e passato, arricciava la lingua e lo portava a delirare dolcemente. Se non altro l’incantesimo di levitazione mise fine a quel continuo e patetico chiacchiericcio.
    «Hei… hei… sei. Oh fuck. Hei sicura che questa sia una buona idea? »
    Non aveva mai sperimentato di essere sollevato da terra con un incantesimo di librazione. Il sentire la neve allontanarsi di colpo dai vestiti e cominciare a cadere via dai capelli, sentire il peso della sciarpa che di colpo aveva cominciato a tirare nella direzione sbagliata… non era del tutto sicuro di apprezzare quella cacofonia di nuovi stimoli sensori. Lo stomaco fece una capriola quando si ritrovò a mezz’aria, manipolato nell’aria e rimesso in piedi. Affondati i piedi nella neve, questa volta in posizione eretta, spalancò le braccia, così da essere sicuro da non andarsene da dove si trovava.
    «Quello è il modo migliore per farsi detestare da lui, sappilo. Se non hai un biscotto non si siede- sidere- insomma, non si metterà a sedere»
    Biascicò le ultime parole, tenendo la testa ben ritta. Doughnut non era il più mansueto dei draghetti egiziani. Non mordeva, o almeno, lo faceva di rado e solo se davvero qualcuno lo infastidiva, non aveva un pungiglione velenoso… ma era testardo. Ci voleva ben di più di un ordine per tenerlo buono a sedere.
    «Forse dovrei insegnare a Rose a come metterlo a sedere. »
    Mugugnò qualcosa a riguardo bocconcini da gufi e se fossero adatti anche al drago, poi rivolto di nuovo alla strega, cercando di riprendere un po’ di contegno
    «Ok. Ok. Okokokokok in squadra. Come? »
    Ebbe il buon senso di non buttarsi di nuovo addosso alla ragazza così da non cadere di nuovo a terra.
    «Merlino ti benedica Alice. Davvero. Ti meriteresti un premio per questo. O un diploma a- qualcosa al San Mungo. Ma come è che non ti ho mai visto prima in ufficio? I grandi capi ti tengono tutta per loro?»
    Suonava malissimo l’ultima parte. Una parte di lui doveva esserne consapevole perché le risatine indicavano che lo trovasse divertente.
     
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    Nonostante l’alternarsi di risatine con discorsi mugugnati, Alice riuscì a decifrare qualcuna delle cose dette dal mago nel suo farneticare. Per prendersi una sbronza di quel tipo o sei un irresponsabile, oppure hai qualcosa da dimenticare o da soffocare sotto un fiume di alcool. Se in un primo momento le parole della specializzanda erano state una specie di formula che le serviva per verificare la lucidità del suo interlocutore, ora che aveva intuito cosa affliggeva il mago il suo cuore si fece pesante e la sua voce più dolce.
    Alice di Maynard non sapeva nulla, o appena poco di più di nulla. Si erano incontrati in Dipartimento, di tanto in tanto si erano scambiati qualche saluto, durante la missione al maniero Selwyn erano stati fianco a fianco nei combattimenti, ma non avevano mai parlato con la finalità di conoscersi. In più la Watson non amava dare troppo credito ai pettegolezzi che circolavano per il Ministero, soprattutto perché non conosceva nessuno o quasi e non le andava di farsi un’idea su una persona basandosi su delle dicerie.
    La risolutezza della ragazza, se non fosse già stata forte di partenza, venne rafforzata ulteriormente da quel momento di realizzazione: Maynard, sotto quell’aspetto amichevole e cordiale, era un uomo profondamente ferito dalla vita, se ne riteneva responsabile e in un certo senso si puniva in quel modo, ubriacandosi per dimenticare i propri sbagli.

    Doveva cercare un modo per non perderlo, doveva trovare un ancora per farlo rinsavire e tornare a casa senza troppi danni, per la sua dignità, ma soprattutto per la sua bambina. La sua sindrome da crocerossina stava avendo la meglio, doveva aiutarlo a rimettere insieme i pezzi della sua vita o non se lo sarebbe mai perdonata.

    Quando si accorse che il draghetto non aveva alcuna intenzione di ascoltarla, su suggerimento del suo padrone, Alice decise di convincerlo comprandosi la sua attenzione. Nella sua inseparabile shopper di stoffa che teneva a tracolla, la Watson aveva ancora il panino del pranzo che non era riuscita a mangiare per il troppo lavoro. Prima di ancorarsi di nuovo al mago prese a frugare nella borsa e ne estrasse il cartoccio, ormai tutto rovinato e un po’ schiacciato. Con gli occhi chiari puntati verso il cane squamoso, ne strappò un angolino e glie lo lanciò.

    Ciccione.... gli disse tra i denti ridacchiando quando la lucertola extralarge inghiottì il bocconcino senza nemmeno masticarlo.

    Ora seduto. ordinò nuovamente Il resto la avrai se farai il bravo. disse, più a se stessa che al drago in miniatura.

    Con un sorriso incoraggiante stampato in volto si accostò al mago e gli si infilò con qualche sforzo sotto al braccio destro, a volerlo sorreggere come si fa con chi ha perso l’uso di un piede o una gamba.

    Forza... disse Torniamo a casa... mi dici dove abiti? chiese In squadra un passo alla volta, con calma... spiegò.

    Forza adesso, salta su. disse rivolgendo gli occhi allo pseudodrago.

    Mosse un passo in avanti e attese che il mago facesse lo stesso, poi rispose alla sua ultima domanda.

    Io sto in una stanzetta a fare lavoro di archivio, é difficile che mi si veda in giro... disse A volte faccio qualche missione sul campo, ma niente di che... spiegò.

    Il fatto che il mago condisse ogni frase con una buona dose di risolini, Alice lo aveva imputato all’alcool e non ad un eventuale malizia, anche se non voluta. In quel momento era molto concentrata, non voleva tornare con il sedere per terra e non poteva lasciare che il mago cadesse di nuovo. La missione era chiara, riportare Maynard a casa e metterlo a letto, prima che facesse qualche altra mossa inconsulta e si rompesse la testa per terra. Forse il modo migliore per distrarlo dal camminare e semplificarsi il lavoro era di parlargli.

    Non sai che noia in quel postaccio polveroso. Sto tutto il giorno ad archiviare fascicoli che parlano di avventure meravigliose e io me ne sto seduta lì tutto il giorno. cominciò a raccontare Come sta Rose? chiese.

    Alice non sapeva nemmeno che viso avesse la figlia di Maynard, ma aveva notato che si illuminava ogni volta che parlava di lei, quindi pensò che chiedere di lei avrebbe potuto risollevargli il morale e farlo camminare più volentieri.

    Come avete trascorso il Natale? chiese ancora.
     
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    «Ciccione… non- non così tanto dai. Le feste non hanno fatto così tanti danni dai»
    Rispose al discorso dell’altra, anche se si stava riferendo ad un’altra persona. O meglio, ad un’altra creatura, una completamente differente. E dal discorso che stava facendo, non doveva aver del tutto capito se si stava riferendo a lui oppure al suo draghetto. Maynard si stava avvicinando al punto in cui anche solo riuscire a stare in piedi diventava un’impresa, quello in cui la vista stava cominciando a sdoppiarsi leggermente, il mondo a girare. Di tento in tanto la ragazza avrebbe potuto vederlo reclinare leggermente la testa di lato, come perplesso da qualcosa.
    Nel frattempo, il draghetto aveva cominciato a dar retta alla strega, se non altro perché lo stava “ricattando” con del cibo e questo bastava a convincere un animale tanto stupido quanto goloso come D a fare praticamente qualsiasi cosa. La via per il suo cuore era sempre stata lo stomaco in fondo…
    «Ce la faccio… davvero, ce la faccio»
    Borbottò Maynard quando la strega si attrezzò nuovamente per aiutarlo a stare in piedi. Visto come aveva passato gli ultimi minuti, non forse era meglio se le sue proteste, questa volta, venivano davvero ignorate. Le disse l’indirizzo, biascicando una via dall’altra parte di Londra. Fuori mano, ma non abbastanza da essere circondato da babbani. Una zona residenziale, un piccolo appartamento circondato da tanti altri altrettanto anonimi.
    «La villa era più bella, ma porco merlino se non ne valeva la pena per stare assieme a quella vipera di mia moglie… mi dispiace solo che ora Rose ci passi praticamente tutta la sua vita da sola… insomma, fra me e te siamo tutti e due chiusi in un bel buco dove non usciamo mai eh? Che mi dicevi di Rose? Il Natale? »
    Mentre avanzava, continuava a parlare, biascicando parole e continuando a seguire a malapena un filo logico che univa tutte le parole assieme. Lo stomaco fece una capriola e i colpo si fermò. Prese fiato, quindi riprese a camminare.
    «Rose è un angelo… è perfetta. E io le ho quasi distrutto il futuro… ci credi? E adesso non voglio che lei la usi come l’ennesima arma per distruggermi la vita. Non mi interessa che lo faccia in realtà, non per me sai? Non voglio che mi odi però, anche se probabilmente già lo fa, come minimo suo nonno ora le sta riempiendo la testa di mille stronzate di serpeverde e di come suo padre sia inutile e di come metà del mondo inglese sia uno schifo perché non è purosangue… Merlino ma come diamine ha fatto la vostra scuola a resistere così tanto con idee così stupide? »
    Era arrivato a blaterare. Poi sembrò ricordarsi della vera domanda perché con tono solare aggiunse
    «Il Natale… Rose era da sua madre. È stata da me tutto il tempo dal 27 a capodanno… ma ha adorato stare con D, volevamo fare un salto a casa mia. In Oklahoma dico. Volevo mostrarle poi il deserto, magari un’altra volta… in compenso l’ho portata in un allevamento di cavalli alati… conoscevo il proprietario e ne era estasiata»
    Gli occhi brillavano, in parte per l'alcol, in parte al ricordo di averla sulle spalle, mentre a nemmeno cento metri da loro, meravigliose creature spiccavano il volo sotto il manto innevato della Scozia...
     
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    Lo stava perdendo, era evidente. Ad ogni passo il mago si faceva sempre più pesante sulle spalle della specializzanda è sempre meno direzionato nell’andatura. L’alcol cominciava a scemare, lasciando solo la stanchezza e la sonnolenza. Alice era decisa a riportarlo a casa prima che Maynard le vomitasse sulle scarpe o che le crollasse addosso in un attacco di narcolessia.
    Non si sarebbe potuta smaterializzare così di punto in bianco, doveva fargli capire le sue intenzioni e soprattutto voleva che lui fosse pronto per evitare spiacevoli incidenti di percorso visto che già si sarebbe dovuta adoperare per smacchiare la sciarpa e il bavero del cappotto.

    Sai se vuoi ogni tanto posso tenertela io... ho due sorelle più piccole, me la cavo con i bambini, soprattutto con le bimbe. disse, più per tenerlo sveglio e cosciente che per un vero desiderio di trovarsi un lavoretto da babysitter Bado a loro da quando sono nate, quindi me la cavo bene. Magari se una sera hai da fare e non puoi stare con lei, ci penso io... continuò vedendo che aveva l’attenzione del mago.

    So fare benissimo le trecce, racconto storie favolose e sono bravissima con i fortini. insistette Le mie sorelle sono completamente diverse, Jane è un maschiaccio, gioca a Quidditch e le piace fare a lotta, Emma invece è una vera signorina. gli spiegò Sicuramente andremo d’accordo.... e poi credo di stare simpatica a Mr.D.... aggiunse.

    Quando si sentì nominare, lo pseudodrago prese ed agitarsi sulle loro spalle. La situazione era già complicata di per sé, non c’era bisogno dei balletti spazientiti di quella lucertola extra-large, così Alice prese dalla tasca un altro pezzetto di panino e glie lo diede allungando il braccio sopra la propria testa. Sì sentì pizzicare le dita dai dentini appuntiti della bestiola.

    AHIA! esclamò ritraendo di scatto la mano.

    Ci fu un secondo di esitazione in cui temette di aver perso l'equilibrio, ma così non era, quindi riprese subito a camminare.

    Maynard torniamo a casa ora... ok?chiese in modo quasi retorico, il mago non aveva grande voce in capitolo Quindi sii pronto... arriviamo in fondo alla strada e poi ci smaterializziamo. Va bene?chiese di nuovo, cercando di capire nell’espressione del viso di lui se stesse capendo ciò che la ragazza gli stava dicendo Faremo subito... disse, anche se voleva chiedergli di trattenersi dal vomitare durante il tragitto, perché non sapeva cosa sarebbe successo se lo avesse fatto.

    Forza ora. annunciò per prepararlo al salto Uno, due.... tre e si smaterializzò per arrivare davanti all’abitazione di Maynard.

    Edited by Alice Watson - 29/1/2019, 16:36
     
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    Aveva la capacità di decidere se sua figlia poteva passare o meno del tempo con una delle specializzande del suo dipartimento? No. A dire il vero aveva ben poca capacità decisionale sul futuro di Rose in qualsiasi circostanza, considerando i continui attriti che sorgevano fra il mago e la sua ex moglie. La risposta a quelle domande e considerazioni della strega, una mezza risata, forse suscitata dal pensiero di vedere la sua piccola Rose con le trecce e nascosta in un fortino di cuscini e lenzuola tenute sollevate dalla sua scopa giocattolo, era forse più di quello che ci si poteva aspettare da lui in quel momento.
    «Auguri a convincere quella stronza a far salire Rose su una scopa e farla giocare a Quidditch»
    Non c’entrava niente con quello che aveva detto l’altra. Se ne rese conto solo dopo aver finito di pronunciare quelle poche parole cariche di astio. Mostrava tutto il suo peggio da ubriaco, gli occhi, lucidi in parte per l’alcol e in parte per la tristezza, continuavano a altalenare emozioni contrastanti. Ora si incendiavano di astio al pensiero di quello che poteva fare quella serpe, ora si tingevano di malinconia tutte le volte che il nome di sua figlia tornava a galla nella memoria.
    Provò a risollevarsi, a prendere una posizione eretta e a non abbandonare completamente il peso sulla ragazza a cui si stava appoggiando. Perse in parte frammenti di conversazione, vide il suo draghetto continuare a mangiucchiare dalle dita della specializzanda e mentre quella parlava, si rivolse direttamente a D.
    «Ciccione. Chi è un ciccione? Tu sei uno schifoso ciccione lo sai vero? Ah già. Sì. No. Sai che non ho mai preso il pate- no, insomma, sai che è una vita che dico che mi devo smaterializzare o imparare a farlo e tutte le volte mi ritrovo a non sapere bene come fare. D… tre D giusto? »
    Si sarebbe opposto maggiormente se avesse capito davvero quello che stava per accadere. Per il momento, come un cucciolo al guinzaglio, si limitava a seguire più o meno dove la ragazza lo stava portando, incespicando sui suoi passi ogni tanto, ma per lo più affidandosi a lei. Detestava smaterializzarsi. A dire il vero odiava anche usare la metropolvere e le passaporte, e qualsiasi mezzo di trasporto magico comportasse vedere il proprio corpo scaraventato all’interno di un lampo di energia magica per poi riapparire a qualche centinaia di chilometri di distanza.
    In quelle condizioni, soprattutto.
    Fece quindi appena in tempo ad aprire la bocca, a protestare che potevano usare il camino del paiolo, che con un sonoro “crack” sparirono, tutti e tre, dalla strada.

    * * *


    Alla nausea dovuta al fin troppo elevato numero di bicchierini di liquore ingeriti nemmeno un’ora prima, si aggiunse quella dovuta all’essere cacciato a forza in un imbuto di energia magica che dava l’impressione di volerti stritolare fino a farti uscire le budella dal corpo. Eppure in un istante, la sensazione di oppressione, scomparve, e i due si ritrovarono in una minuscola stanza, una sorta di anticamera, a malapena illuminata dal piccolo lampadario al soffitto. Di fronte e alle loro spalle, due porte in legno praticamente identiche.
    La casa di Maynard non era circondata di protezioni magiche e di incantesimi che potevano davvero ferire o occuparsi di intrusi, ma se non altro aveva fatto in modo che smaterializzarsi direttamente dentro casa sua non fosse fattibile. Quel piccolo disimpegno era l’unico luogo di casa sua dove potevano apparire ospiti, desiderati o meno. Per quelli che non conoscevano la posizione di quello stanzino… potevano sempre prendere le scale.
    Il mago, verde in viso, frugò nelle tasche del cappotto freneticamente fino a trovare la bacchetta. Toccò un paio di volte una delle due porte e quella, semplicemente, sparì alla vista, lasciando libero il passaggio. Senza aspettare Alice, si precipitò dentro, biascicò qualcosa di incomprensibile e, fatta cadere la bacchetta a terra, si chiuse dentro quello che doveva essere il bagno, subito alla sinistra dell’ingresso. Un rumore liquido e un gemito di nausea lasciarono intuire che la smaterializzazione doveva aver lasciato qualcosa di più che un vago senso di schiacciamento al petto.
    Alice, accompagnata dal draghetto egiziano, si sarebbe ritrovata all’interno di un piccolo appartamento più lungo che largo. Pochi metri di fronte alla porta appena scomparsa, torreggiava un albero di natale chiaramente troppo grande per lo spazio dove si trovava. La punta sfiorava il soffitto, nessuna stella decorava la cima. Una cascata di sfere di ogni dimensione e colore decoravano i rami, una collezione in continua crescita, ai piedi dell’albero, in un nido di carta e fiocchi ormai ridotti in mille coriandoli, era affogato un cuscino rovinato e rosicchiato sul quale Doughnut si fiondò appena la strega avesse fatto un passo in avanti. La cucina, sulla sinistra dopo la porta del bagno, era separata dal resto dell’ambiente solo da un tavolo addossato alla parete, sommerso da pile di pergamene sulle quali torreggiavano due gabbie da gufi, adesso vuote. Accanto, un divano, altrettanto in disordine e coperto di cuscini. Continuando ad avanzare, sotto le finestre, un unico letto a due piazze, ora sfatto e con le coperte appallottolate ai piedi del materasso.
    Un gran numero di piante affollavano l’appartamento, concentrandosi sulla zona sotto la finestra. Modellini di creature, regali di Natale lasciati a casa del mago, si muovevano per la stanza, la maggior parte abbandonati sul divano. Solo un paio, una ricostruzione di un Thunderbird e quello di un cavallo alato, si muovevano ancora abbastanza rapidamente da dare l’impressione di essere nuovi. Maschere tribali, stampe e mappe e mille altri ninnoli che richiamavano diverse parti del mondo, affollavano le pareti.
    Doughnut, come il peggior cane da guardia che qualcuno potesse desiderare, si limitò a fissare la ragazza con fare curioso, del tutto indifferente al fatto che fosse entrata nel suo “territorio”.
    Dato che sono certo che non si sia capito niente, aggiungo una sorta di mappa
    Maynard
     
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    Come aveva sospettato, la smaterializzazione non aveva avuto il migliore degli effetti sul mago ubriaco che si era ritrovata ad accompagnare. Dopo qualche istante di puro panico in cui lo aveva visto diventare grigio in viso, si era lasciata sfuggire un sospiro di sollievo quando Maynard era corso in bagno per chiudercisi. Se le avesse vomitato addosso probabilmente la Watson avrebbe perso tutta la pazienza di cui normalmente era munita e si sarebbe lasciata andare in una mezza scena isterica. Tutta la situazione l’aveva caricata di una strana sensazione, un misto tra la paura che potesse succedere qualche disastro, il dispiacere per quello che il mago farfugliava nella confusione, l’adrenalina scaturita dal momento, il ginocchio che cominciava a dolerle. Non sapeva nemmeno lei bene come sarebbe finita quella faccenda, ma in cuor suo sperava fosse presto. Il fatto di trovarsi all’interno dell’abitazione del mago, in qualche modo la rassicurò. Cosa rimaneva da fare se non assicurarsi che il padrone di casa si mettesse a letto senza combinare altri guai?
    Appena varcata la soglia dell’ingresso incantato, lo pseudodrago si lanciò su quella che Alice intuì essere la sua cuccia. Osservarlo acciambellarsi in mezzo a quel mucchio di carta da regalo ai piedi dell’albero, sopra il suo cuscino liso e smangiucchiato le fece una gran tenerezza. Sentì il cuore stringersi in una sensazione di profondo affetto, le sarebbe tanto piaciuto avere un animale da compagnia e forse era davvero giunto il momento di adottarne uno.
    Mentre il suo ospite continuava a liberarsi dell’alcool in eccesso, la Watson si permise di esplorare la stanza in cui si trovava, sia con lo sguardo, sia camminando un po’ nell’ambiente. Il fatto che ci fosse ancora l’albero di Natale probabilmente stava a significare che Maynard non aveva avuto tempo di toglierlo o che comunque la sua presenza non lo disturbava. Lei invece odiava le decorazioni una volta finite le feste, motivo per cui il primo dell’anno era generalmente dedicato allo smantellamento di tutto quello che aveva messo in casa.
    La stanza fungeva da camera da letto, cucina e salotto. Non che Alice ne fosse particolarmente sorpresa, ma tutto nell’ambiente le suscitava uno strano senso di malinconia. Il disordine non la sconvolgeva, si sarebbe stupita del contrario, ma il fatto che ancora ci fossero i regali di Natale di Rose sparpagliati in giro e l’albero, le fece pensare che il mago stesse cercando come di conservare i momenti felici trascorsi con la figlia. La Watson non sapeva se l’uomo si fosse riaccompagnato dopo il divorzio con la moglie, ma era palese che quell’appartamento avesse bisogno di una mano femminile, se non per l’arredamento almeno per l’ordine e la pulizia.
    Non voleva sembrare maleducata, ma riteneva che l’unica cosa di cui avesse bisogno Maynard era di un buon sonno e di un rimedio per la sonora sbornia che si era preso, quindi, senza soffermarsi oltre sull’ambiente, andò al letto e ne sistemò le coperte e diede una sprimacciata ai cuscini, in modo da poter accogliere il proprietario. Tornò poi verso il bagno e bussò con la nocca dell’indice sinistro sul legno della porta.
    Tutto ok? chiese Pronto o no io entro… disse ancora afferrando la maniglia.
    Una volta varcata la soglia si trovò davanti ad un Maynard alto un quarto di quanto fosse normalmente, tutto accartocciato sopra il water che riprendeva fiato. Non aveva una bella cera, ma migliore di quando lo aveva incontrato in strada. Senza esitare troppo Alice prese un asciugamano e lo inumidì con dell’acqua tiepida, poi si avvicinò all’uomo e, chinandosi, prese a pulirgli il viso dal sangue appiccicoso e mezzo congelato che gli era rimasto come souvenir per la botta contro il muro.
    Meglio? chiese ancora per controllare che l’uomo fosse ancora con lei e non tra le braccia di Morfeo Proviamo a metterci a letto? aggiunse tendendogli una mano.
     
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    Nel suo girare per la stanza, la ragazza si sarebbe sentita osservata. Non da quadri e da fotografie stregate, ma dallo sguardo silenzioso della lucertola troppo cresciuta che era Doughnut. Il collo del draghetto si era allungato oltre il bordo della sua cuccia, aveva sbadigliato, allargando le fauci e arricciando la linguac ome un gatto, mostrando alla strega la schiera di lunghe e sottili zanne e si era acciambellato di nuovo. Osservando. Curioso e senza timore. In silenzio, più che soddisfatto che la ragazza non avesse deciso di mettere le mani all’interno del suo “nido”.
    Chiuso nell’altra stanza, invece, dire che il mago doveva aver visto momenti migliori nella sua vita era un eufemismo. La ragazza, entrando nel bagno, avrebbe visto il suo collega verde in faccia, con il cappotto e la sciarpa bagnati ancora addosso e con la testa china sulla tazza del cesso. Aveva provato a risponderle, e un mezzo conato aveva troncato ogni possibilità di comunicazione a metà. Raggiunse alla cieca lo scarico e, con quella poca dignità che aveva ancora in corpo, se non altro cancellò le prove della sbornia che si era strascinato dalle strade di Diagon Alley fino a casa. Il mago aveva la sensazione che non gli rimanesse molta dignità in corpo, ma nonostante fosse abbastanza ubriaco da avere a malapena un’idea di dove si trovasse in quel momento, la vergogna di trovarsi in quella situazione di fronte alla collega si stava lentamente cominciando a far largo nella mente del mago.
    Si alzò a fatica, per dirigersi verso il lavandino e darsi una sciacquata prima di farsi condurre al letto. Biascicò qualcosa di incomprensibile, forse un commento sul quanto fosse dispiaciuto che l’avesse costretta a riaccompagnarlo a casa sua, probabilmente una scusa per averle fatto perdere tutta la serata.
    «Sì, meglio sì. No. Cioè. Scusa»
    Il mondo aveva ricominciato a ruotare come si era fatto avanti per appoggiarsi allo stipite della porta e poi alla ragazza. Sotto lo sguardo vigile del draghetto che continuava a spiarli dal suo nido di carte colorate, si lasciò accompagnare al letto, dove si lasciò cadere, senza nemmeno preoccuparsi di togliersi i vestiti. Aveva provato ad aprirsi cappotto e maglione, ma il pensiero di rimuoverlo completamente, magari anche attraversare di nuovo la stanza così da poterlo appendere al muro, gli faceva salire nuovamente la nausea.
    «Scusa… davvero. Non… perché… di solito non bevo così tanto, o almeno, non sempre, ci provo giuro… Merlino… ti viene davvero da domandarti come abbia fatto a resistere tutti gli anni che siamo andati avanti… no, non me. Lei. Forse me lo meritavo davvero.»
    Aveva ricominciato a blaterare, a far riaffiorare alla memoria tutti quei ricordi che invece l’alcol aveva lo scopo di tenere ben nascosti in luoghi della sua mente dove non potevano essere raggiunti.
    «Scusa»
    Aveva coperto gli occhi con l’avambraccio, schermando così la luce e allo stesso tempo nascondendosi alla vista della strega che si trovava in casa sua in quei brevi attimi che lo separavano dal momento in cui il Sonno finalmente l’avesse preso fra le sue braccia e lo avesse trascinato via da quella situazione.

    * * *


    La successiva mattina sarebbe passata senza che la strega ricevesse altre notizie del collega. Solo sul tardi, l’ormai ben familiare figura alata di un draghetto con un vivace collare azzurro al quale era attaccata una pergamena, si sarebbe presentata alla scrivania della ragazza, reclamando coccole e cibo. La giusta ricompensa per aver fatto da messaggero. All’interno della pergamena, un breve messaggio scritto nella grafia disordinata e per quella mattina, tremolante, mano del mago.
    Scusa per ieri sera. Ricordo vagamente che mi hai accompagnato a casa e oltre a doverti ringraziare, le più sentite scuse penso che siano dovute.
    Spero di non averti dato troppi problemi e di non essermi comportato in maniera troppo inappropriata. Se c’è qualcosa che posso fare per ricambiare il favore, fammi sapere.
    M-
    PS: D sta continuando a fare i capricci perché è a dieta. Se vuole cibo, ignoralo.
     
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12 replies since 31/12/2018, 11:33   181 views
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